Adriano Leite Ribeiro: Le follie dell'Imperatore
Origini, curiosità, aneddoti, ascesa e declino dell'Imperatore. Un talento così bello ma così dannato.
Nell’inverno del 2001, fa il suo esordio nelle sale cinematografiche italiane “Le follie dell’imperatore, quarantesimo classico dello studio Disney, incentrato sulle mirabolanti avventure che stravolgono la vita del riuscitissimo protagonista, l’imperatore inca Kuzco. In quello stesso anno, sbarca a Milano, sponda Inter, un giovane brasiliano. L’Italia sportiva non lo sapeva ancora, ma avrebbe conosciuto anch’essa le follie dell’ultimo imperatore del calcio italiano: Adriano Leite Ribeiro.
Adriano nasce in un contesto complicato, quello della favela di Vila Cruzeiro, a Rio de Janeiro. Non è catastrofico, né populista ammettere che ambienti così duri lasciano poco al caso e segnano profondamente il tessuto comunitario. La maggior parte delle famiglie vive di stenti e sacrifici, i ragazzi crescono in strada e sognano un riscatto sociale che riesce ad una ristrettissima cerchia di minoranza.
Adriano non è ancora un’eccezione. Anche la sua famiglia conosce la povertà, e quelle strade, lui, da piccolo, le consuma con un pallone al piede. Il calcio è uno strumento di evasione, una passione, ma nulla di trascendentale. È vissuto con molta pragmaticità. Adriano ha una fortuna enorme: due genitori che puntano su di lui, che credono nel suo talento. Soprattutto Almir, il papà. Stringendo non poco la cinghia, si impegnano per farlo diventare un calciatore professionista. Entra così a far parte delle giovanili del Flamengo; a 18 anni esordisce col botto in prima squadra.
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Fin da giovanissimo, Adriano ha le stimmate del predestinato solo a guardarlo in campo. Un omone di 1,90x90kg, con una velocità disarmante, un tiro assassino e una tecnica sopraffina. In buona sostanza, un titano; forse l’unico che nemmeno la Titanomachia avrebbe buttato giù.
Non a caso, attira gli occhi indiscreti di mamma Europa, in particolar modo dell’Inter di Massimo Moratti, il quale lo porta alla sua corte nell’estate 2001.
E con la maglia nero-azzurra il giovane Adriano mostra subito il suo potenziale in un’amichevole giocata al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid. Hector Cuper lo schiera nel secondo tempo, quando verso la fine l’Inter conquista un calcio di punizione dal limite dell’area di rigore avversaria. Adriano vuole calciare, ma si oppone Materazzi, dotato di un grande sinistro. Alla fine la contesa viene decisa da uno dei leader dello spogliatoio interista: un certo “Clarence Seedorf” che decide di dare fiducia al nuovo arrivato. Tutti pensano: “Adriano ora la manda in curva”. In quel momento però l’attaccante brasiliano non spreca l’occasione per farsi notare: un tiro potentissimo che gonfia la rete alle spalle di Iker Casillas. Una punizione magica che ancora oggi ricordano tanti interisti.
Tuttavia la prima esperienza nerazzurra non è esaltante. Scarso minutaggio, scarso adattamento alla Serie A. E quindi via di prestito alla Fiorentina e, in seguito, al Parma, squadra in cui comincia ad alzare il livello e ad esprimere le sue reali qualità. E difatti nel 2004, Moratti lo riporta al cospetto della Madonnina. Durante la Copa America di quello stesso anno Adriano diventa un giocatore importante anche per la sua nazionale. Nel recupero della finale contro l’Argentina l’Imperatore segna il gol decisivo che permette alla “Selecao” di pareggiare i conti e rimandare tutto ai supplementari, dopo i quali i verde-oro conquistano la Coppa ai calci di rigore contro i loro più grandi rivali sud-americani.
Poco dopo però ad Agosto 2004 si consuma l’evento più doloroso nell’esistenza del brasiliano, l’evento che ne segnerà per sempre la componente privata e professionale. Muore il papà. Almir era un faro nella vita di Adriano, era la colonna portante che reggeva la schiena dell’Imperatore. Adriano dedicava ogni cosa alla famiglia, amava il calcio perché era il padre ad amarlo. La sua scomparsa lo getta nello sconforto più totale. Cade in depressione, comincia a fare abuso di alcool, si presenta agli allenamenti ubriaco, è distratto, spesso fuori forma, non regge più i ritmi di un top club. Non vuole reggerli. Non riesce a reggerli. La sua testa è altrove e fatica a ritrovare la luce. I demoni che porta dentro hanno la meglio su di lui giorno dopo giorno. L’Imperatore parla di “buco nell’anima” e dichiarerà che in quel periodo ha pensato al suicidio, sventato solo per l’immenso amore nei confronti della madre. Javier Zanetti, storico capitano e bandiera dell’Inter, ammetterà con rammarico che “non siamo stati capaci di tirarlo fuori dal tunnel della depressione. Questa è stata la nostra sconfitta più grande”.
Nella sua altalenante permanenza milanese, Adriano mostra fiammate da fenomeno. Perché lo è. Il rullino dei ricordi dei tifosi nerazzurri custodirà per sempre l’incredibile doppietta al Porto, il coast to coast clamoroso contro l’Udinese a San Siro, la punizione da cineteca contro la Roma, quella traversa tirannica, brutale, barbara contro il Palermo.
L’Inter è stata l’ultima casa in cui Adriano ha espresso sé stesso. Quando è andato via, le parentesi brasiliane e quella ancor più opaca a Roma, poco hanno del valore di quel ragazzo prodigio di Rio. Nel 2016 si è consumato il suo ritiro de facto. De iure, era già avvenuto da tempo. Purtroppo per lui, e per tutti noi amanti dello sport.
Si chiude così, il nostro racconto di Adriano. Uno dei campioni più puri della sua generazione, un talento così bello, ma così dannato. Un talento che resterà inespresso nella sua interessa, ma non nelle sue parti. Chi lo ha visto giocare, non può che essersi innamorato del calcio; perché, inconsapevolmente, ha visto la cosa più vicina all’Impero. Ha visto e vissuto le follie dell’Imperatore. All’Adriano uomo, auguriamo ogni bene. All’Adriano calciatore, rendiamo grazie.